Ci sono dei dischi che segnano non solo momenti topici, nella carriera di un artista o di una band ma che rimangono scolpiti anche nella memoria storico-musicale di un paese come in questo caso l'Italia. Detti dischi, in virtu' della loro unicita' e bellezza, hanno anche il pregio di sconfinare oltre il proprio territorio di appartenenza per via del loro lessico musicale, attraverso un esperanto vocale e musicale capace di arrivare al cuore anche di nazioni dove la lingua parlata all'interno del contesto di canzone, diventa un tutt'uno con l'impatto emotivo creato dal disco in questione. 

Questo e' cio che e' accaduto con Tabula Rasa Elettrificata (comunemente conosciuto con l'abbreviazione T.R.E.) da parte del Consorzio Suonatori Indipendenti, un gruppo che dal 1994 al 1997 ha inanellato tre gioielli sonori di grande valenza, in termini di sperimentazione, sonorita', melodie e profondita' politico/sociale nei testi, chiamati Ko' De Mondo, Linea Gotica e Tabula Rasa Elettrificata, appunto, l'ultimo dei quali raggiunse il primo posto assoluto nelle classifiche italiane di vendita dopo la sua pubblicazione il 1 Settembre 1997.

Il nucleo del Consorzio Suonatori Indipendenti, nell'anno dell'uscita di un autentico capolavoro del Rock Europeo Contemporaneo, era formato da Giovanni Lindo Ferretti alla voce, Ginevra Di Marco alla voce, Giorgio Canali alle chitarre, Massimo Zamboni alle chitarre, Gianni Maroccolo al basso, Francesco Magnelli a quelli che venivano chiamati "Magnellophoni" e Gigi Cavalli Cocchi alla batteria. Purche' mai un membro effettivo della band, sembra giusto anche menzionare la presenza del compianto Giovanni Gasparini, che ha fatto da tecnico del suono e si e' occupato anche di registrazione e missaggio di tutti gli album in studio, compreso Tabula Rasa Elettrificata. 

Il nostro sito ha avuto il privilegio di discutere curiosita' riguardanti la preparazione e registrazione di questo favoloso disco che ha celebrato i 25 anni dalla sua uscita nel Settembre 2022 con tre (il numero sembra adattissimo all'acronimo usato dalla band italiana nell'abbreviare il titolo dell'album in numerose interviste rilasciate alla stampa mondiale negli anni) dei componenti del Consorzio nel 1997, Gianni Maroccolo (vincitore tra l'altro del Premio Alla Carriera nel 2022 organizzato dal nostro sito), Massimo Zamboni e Gigi Cavalli Cocchi, in una lunga intervista che il nostro sito ha ritenuto necessario lasciare intoccata, per meglio fornire il maggior numero di dettagli possibili per quello che concerne il Making Of di Tabula Rasa Elettrificata e inoltre, del rapporto musicale  e umano in seno a una band che tanto ha fatto per la crescita e la valorizzazione del concetto di Musica a 360 gradi dalla meta' degli anni '90 fino ad oggi.

Tabula Rasa Elettrificata ha subito, musicalmente ed in gran parte anche nella stesura dei testi, un impatto notevole da un viaggio attraverso la Mongolia compiuto da Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti, che si erano gia' conosciuti gia' da molto prima, negli anni '80, prima che i C.S. I. si formassero, ai tempi in cui formarono un gruppo di Post/Punk Alternativo chiamato C.C.C.P., che ha costituito, tra l'altro, verso la fine di quel progetto musicale, l'ossatura per quello che sarebbe poi diventato il Consorzio Suonatori Indipendenti nella decade susseguente. Ma lasciamo proseguire il racconto concernente a Tabula Rasa Elettrificata a coloro che sono stati tra gli artefici di un lavoro musicale, la cui magniloquenza, influenza ed importanza viene ancora oggi riconosciuta a livello generale da artisti emergenti e non al'interno dell'Italia.

 

 

BR - Nella genesi del disco, ci chiedevamo se il Consorzio avesse gia’ le idee chiare su come il disco avrebbe dovuto suonare prima che Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti tornassero dalla Mongolia?

MZ -No, anche perche’ e’ stato una specie di fiammata, questo viaggio in Mongolia. Ci arrivo’ un telegramma, improvvisamente, tra capo e collo, mentre stavamo preparando il Tour per Linea Gotica, con un invito perentorio da prendere o da lasciare. L’invito citava che noi si avrebbe fatto parte di questo viaggio televisivo di una troupe mongola per la Mongolia, appunto, dove si menzionava che la troupe era disponibile ad ospitarci e che c’eran 5000 km da fare fuori strada, a patto che noi fornissimo una risposta immediata al loro invito. A quel punto, non c’era tempo per nulla, ne' per fare previsioni o per fare bagagli. C’era tempo solo per una discussione molto animata al nostro interno come gruppo, una discussione un po’ anche rattristante, per certi versi, poiche’ Linea Gotica era un album che amavamo moltissimo e l’idea di non poterlo accompagnare dal vivo, come avrebbe meritato, era molto pesante. Pero’ io e Giovanni avevam deciso di andare in Mongolia e, col senno di poi, e’ stata la decisione giusta, sia a livello personale che a livello artistico. Siam poi partiti, siamo restati e siamo tornati, tutto sempre all’interno del medesimo Tour direi, portando agli altri nella band, in qualche modo, cio’ che avevamo visto e vissuto di quella esperienza, cosa che hanno accolto con grande larghezza di veduta, con la capacita’ di capire molto bene quello che aveva attraversato me e Giovanni nella nostra esperienza in Mongolia. Per noi due,  cio’ ha rappresentato una grandissima sorpresa e gioia, sentire coloro che non eran venuti con noi in Mongolia suonare in studio quello che noi avremmo voluto sentir suonare. E’ stato un album molto facile, T.R.E., a differenza degli altri che sono stati un po’ contorti, anche rissosi, tra noi del Consorzio. Tabula Rasa e’ uscito con una velocita’ assolutamente imprevista e questo credo sia il suo segreto, in qualche modo.

 

BR - Molti dei brani all’interno di T.R.E. contenevano dei testi che, comparati ad alcuni aspetti della societa’ moderna, forse sono stati molto piu’ profetici all’epoca di cio’ che tantissimi potessero ipotizzare da li a un quarto di secolo a seguire. Che effetto vi fa, a livello emozionale, dopo tutti questi anni, pensare che brani come Brace, Accade, Unita’ Di Produzione o M’Importa ‘Na Sega, tra gli altri, contenessero allora non solo una brutale percezione di cio’ che avevate vissuto in Mongolia rapportata al presente di quel fine millennio ma anche di quello che stavamo e stiamo vivendo ancora ora, non solo a livello nazionale ma anche a livello mondiale?

MZ – Mah, io ho avuto la fortuna di poter riascoltare Tabula Rasa Elettrificata in Mongolia, tanti anni dopo, intorno al 2017 e devo dire che mi ha impressionato, per la capacita’ che quell’album ha di raccontare i luoghi. Avevo bisogno di questa verifica mongola, perdere lo sguardo esotico e portarlo di nuovo la’, dove il disco era stato concepito originariamente e vedere che valore avevano queste canzoni, capire se fossero state solo il frutto della velleita’ di comprensione di giovani italiani o se avevano proprio un fondamento piu’ forte, che e’ stato quello che speravo e di cui  ho avuto conferma. Pero’ c’e’ anche questo, che per noi, la Mongolia non e’ mai stato un luogo esotico ma e’ stato piuttosto il luogo dove riconoscere le appartenenze e quindi, in qualche modo, quello che Giovanni e io abbiamo visto in Mongolia, e’ stato il nostro mondo, non una ricerca del loro mondo. Questo nostro mondo conteneva, nelle coordinate mongole, anche il decadimento visibilissimo e irrefrenabile dell’impero sovietico, presente sempre davanti agli occhi. Non era solo la Mongolia dei grandi spazi, delle steppe, dei cavalli o dei cammelli ma era anche la Mongolia di questo sogno enorme di elettrificare l’Asia, di renderla tutta comunista e vedere come questo sogno crollasse nei confronti di un popolo nomade e della incapacita’ di governare questo popolo. Per cui ci siamo portati queste suggestioni con noi e ribaltarle nel nostro mondo, faceva gia’ parte di un processo artistico che abbiamo creato e che e’ sempre stato nostro, in qualche modo.

 

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                                            Il Consorzio Suonatori Indipendenti nel 1996 - Photo by Guido Harari

                                                                                   

BR – Avete dei ricordi particolari, nella genesi del disco, di un brano o piu’ di un brano che vi ha creato qualche grattacapo, nell’assemblarne la stesura vocale, ritmica o musicale?

MZ – Hmm, difficile ricordarsi se ci fosse stato un brano che ci ha dato problemi, in particolare. Posso solo dirti che ho la percezione complessiva dell’album come un album molto facile da comporre, per via dell’atmosfera molto distesa che regnava, sorprendemente distesa. Ci sono state canzoni precedenti che, in passato, sono state per noi molto difficoltose da mettere insieme, come In Viaggio (dall'album Ko De Mondo), per esempio, che sembra un brano a primo acchitto cosi filante, cosi sciolto ma in realta’ ci abbiamo messo mesi, discussioni e litigi infiniti prima di arrivare ad una stesura complessiva che mettesse d’accordo tutti. Su Tabula Rasa, non ricordo che sia successo niente di questo. Ci sono delle canzoni che, anche a distanza di anni, continuano a sorprendermi, come Unita’ Di Produzione, perche’ rimango sempre colpito dalla profondita’ del testo, la voce di Giovanni, la potenza della musica e le immagini che mi arrivano.

GCC – No, assolutamente mai e sai perche’? Perche’ grazie a questa estrema disponibilita’ del gruppo nei miei confronti, ero io quello che proponeva le ritmiche. Non c’e’ mai stato un suggerimento o una imposizione, in quel senso e nei miei confronti. Ascoltavo qualche idea o abbozzo e aggiungevo la ritmica e devo dire che questa cosa ha funzionato, nel senso che son stato fortunato e mi ha detto bene nel vedere realizzate tutte le idee e le proposizioni che mi erano venute in mente. Peraltro, sai, la musica era talmente stimolante che mi sono veramente sentito come un fiume in piena, artisticamente. Credo che Tabula Rasa sia per me la summa di tutto quello che io ero ritmicamente in quegli anni. Dico “ero”, perche’ ovviamente, son passati 25 anni e nel frattempo uno si arricchisce a livello artistico e su tante altre cose. T.R.E., ogni volta che me lo riascolto, lo trovo di una grande freschezza che tantissimi altri dischi nei quali ho suonato, secondo me, non hanno, in generale e non nello specifico. Sono stato molto felice di aver apportato al suono di quel disco il mio background e la mia esperienza musicale, che risale gia’ agli anni ’70 ma che ha anche assorbito anche le evoluzioni musicali che gli anni ’80 hanno poi portato in seguito e cosi via. Prendi per esempio un brano come Forma E Sostanza; li’ e’ presente una ritmica che mi ha ricondotto ad un brano degli XTC e quel tipo di ritmica che mi era sempre piaciuta, in quel brano degli XTC, l’ho in qualche modo portata e canalizzata, riaggiandola e modificandola, chiaramente, in uno stile che si confacesse al meglio a Forma E Sostanza. Nel fare cio’, credo di aver traghettato in maniera anche un po’ subconscia, quella visione e quella ritmica degli inizi degli anni ’80 in un disco che invece sarebbe nato nei tardi anni ’90.

GM – Guarda, devo dire proprio di no. E’ stato un po’ laboriosa la produzione di un pezzo chiamato Gobi, all’interno del disco, perche’ all’interno di esso c’erano talmente tanti impasti, fra registrazioni fatte in Mongolia e altre fatte a Carpineti, nell’ agriturismo dove ci rinchiudemmo per un mesetto per lavorare sul disco. Ma diciamo che, a riguardo di quel brano specifico, la difficolta’ esisteva solo nel fare convivere le due cose piu’ musicalmente che a livello tecnico. Difficolta’ per il disco, nella sua globalita’, non ce ne sono state, E’ stato un flusso abbastanza veloce, continuo e naturale. Sicuramente, T.R.E., da quel punto di vista, e’ stato il disco che ha creato meno complessita’ a tutti, all’interno del gruppo. E’ stato un disco fatto in serenita’, senza tante litigate, senza tanti momenti cupi. E’ fuori discussione che i C.S.I., per quanto ci si voglia ancora a tutt’oggi un bene dell’anima, messi tutti insieme e per un periodo relativamente lungo, fuori da casa, non eran una situazione semplice da gestire. Ma per T.R.E., fortunatamente, tutto e’ filato liscio senza alcun problema.

 

BR – Tra le note del disco, leggevo che c’e’ un brano chiamato Bolormaa dedicato a Mara Redeghieri degli Ustmamo’. C’era un motivo particolare, dietro quella dedica?

MZ – Nessun motivo in particolare, solo semplice affetto nei confronti di Mara. Mara e’ una persona alla quale siamo molto legati, sia io che Giovanni. Ha fatto parte degli Ustmamò che e’ stato un po’, per certi versi, anche una nostra creatura, diciamo cosi, giovanile, all’inizio, poi una cara amica e ho una grandissima stima di lei ancora oggi. Come cantante, e’ eccellente e migliora sempre di piu’ con gli anni. Era una dedica a lei, quella sulle note, che proveniva semplicementre dall’affetto e la stima verso di lei.

GM – Mah, sai, ogni tanto e’ capitato, nei nostri dischi, che qualcuno di noi dedicasse qualcosa a qualcuno, nelle note del disco per motivi, tra virgolette, suoi. Credo sia stata una dedica di Giovanni, se non sbaglio, Non ho mai chiesto il perche’, di quella dedica, per delicatezza, immagino sia una cosa che riguarda loro due e basta.

 

BR – Il viaggio in Mongolia, per Massimo e Giovanni, ha avuto un forte impatto emozionale non solo a quel tempo ma credo che si sia protratto negli anni. Coloro del Consorzio che non andarono in Mongolia, hanno subito di rimbalzo, in qualche modo, un impatto emozionale anche loro, come lo hanno avuto Massimo e Giovanni, magari attraverso i loro racconti o i suoni che Massimo e Giovanni portarono con loro di ritorno dalla Mongolia?

MZ – Mah, non credo che ciascuno di loro abbia avuto lo stesso impatto emozionale che io e Giovanni abbiamo ricevuto da quel viaggio, intendo nella vita concreta di tutti i giorni, neanche di rimbalzo, come chiedevi tu. La nostra, certo, e’ cambiata decisamente dopo quel viaggio, direi una svolta decisiva sia per me che per Giovanni, nelle nostre esistenze.

 

BR – Nonostante T.R.E. avesse rappresentato  non solo il picco del successo commerciale dei C.S.I. ma anche un po’ il canto del cigno del Consorzio, i componenti del Consorzio hanno continuato comunque, sebbene a correnti alternate, a lavorare assieme negli anni in gruppi disparati o progetti musicali solistici di ciascuno degli ex-componenti dei C.S.I. Quale credete che sia quel forte collante che vi mantiene uniti professionalmente e forse anche umanamente, negli anni?

MZ – Mah, sai, non direi che ci sia poi una grandissima unione, personalmente parlando. A me risulta abbastanza difficile suonare con gli altri, nei nostri progetti da solisti. Si, e’ capitato tante volte di incrociarci, suoniamo insieme, ci telefoniamo, con alcuni in particolare e con altri meno ma sono molto chiare le differenze, le strade che ognuno di noi segue, nel campo musicale. C’e’ forse un guardarci di obliquo che ci lega, l’osservare l’uno con l’altro cio’ che stiam facendo (almeno spero) nei nostri percorsi personali. La storia dei C.S.I., quella non ce la possiamo togliere di dosso con facilita’. In qualche modo, la nostra storia passata e’ sempre un giudice un po’ severo, quello che hai al fianco, un giudice che osserva tutto quello che fai. Un giudice che passa attraverso quel genere di sensibilita’, cosa per me di grande aiuto, l’idea di non poter avere tutte le strade libere, professionalmente.  E’ un sollievo, quel tipo di impedimento, perche’ c’e’ questa creatura cosi impegnativa, cosi massiccia e di fianco, chiamata C.S.I., che mi soffia ogni volta sul collo e mi dice “Questo si, questo no...”

GM – Non saprei dirti, perche’ poi le cose accadono da sole, alla fine. Noi siamo arrivati dove siamo arrivati, ognuno seguendo la sua strada, a fare i C.S.I. o i C.C.C.P. dopo aver deciso di non fare piu’ una serie di cose che avevamo fatto nella nostra vita fino a quel momento, direi per esclusione. Fare i dischi in un certo modo non ci interessa, a fare musica di un certo modo, anche quello non ci interessa, registrar i dischi dentro gli studi di registrazione, dentro agli schemi classici degli orari da rispettare... tutte queste cose qui, noi non le abbiamo mai sopportate. Le abbiamo vissute, indubbiamente, negli anni ’80, dove abbiamo capito una serie di robe e dagli anni ’90 in poi, abbiamo deciso di non fare tutta una serie di cose che noi non volevamo piu' fare. Ognuno le sue, ovviamente. Tutto cio’ ha creato, automaticamente, un discreto collante tra tutti noi, una ragion d’essere e di esistere. Dopodiche’, non nascondo e non per farne un pregio o un vanto, perche’ chiunque te lo puo’ dire, nel Consorzio, che pur avendo tutti contribuito nello stesso identico modo a questa storia, io ho fatto di tutto, in certi momenti, per essere quel collante quando avvertivo che la colla cominciava a dare segni di cedimento. La nostra storia insieme e’ stata importante sicuramente per tutti noi, finche’ e’ durata. Cio’ che abbiamo fatto poi, dopo la fine dei C.S.I., fa parte di un altro capitolo dove, per l’ennesima volta, ognuno di noi si e’ messo li’ a fare i conti e ha detto a se stesso “Bene, dopo altri 10 anni o piu’ di grosse esperienze, ho capito tutta un’altra serie di cose che non voglio fare ma ne voglio fare bensi’ altre, ora”. Con il risultato che, senza suonare presuntuoso, ognuno di noi credo abbia continuato a fare da solo delle cose, a mio modo di vedere, piu’ che dignitose, nelle nostre rispettive carriere. E’ ovvio che, la magia e la potenza che ti puo’ dare una storia come i C.S.I. e’ un qualcosa che non e’ alla portata di nessuno di noi, individualmente, e’ fuori discussione e ne siamo tutti consapevoli. Pero’, allo stesso tempo, credo che stiamo tutti invecchiando dignitosamente, dai (sorride).  

 

BR – Qualche anno fa usci’ una edizione speciale del vostro debutto discografico come C.S.I., Ko De Mondo, per celebrarne i 25 anni dalla sua uscita. Avete mai pensato di celebrare, in qualche modo, un simile anniversario per i 25 anni appena trascorsi dall’uscita di Tabula Rasa Elettrificata?

MZ – Mah, guarda, la Universal, la casa discografica che ha fatto uscire T.R.E., pubblica autonomamente da noi quello che ritengono pubblicare. Chiaramente, noi ne siam contenti, qualora questo dovesse succedere ma personalmente, non ne sono al corrente.

 

BR – Quale e’ il primo ricordo a caldo che vi viene in mente nella stesura e nella registrazione di Tabula Rasa Elettrificata?

GCC – La cosa che mi ha colpito di piu’, dell’album, e’ stato il come realizzarlo, perche’ io ero abituato a dinamiche diverse, nel senso che, tutti gli album che avevo registrato, fino a quel momento, erano il risultato di un lungo lavoro, prima di scrittura e poi di arrangiamento, che solitamente avveniva molte volte nella mia sala prove (come era avvenuto in alcuni dischi di Ligabue e quelli dei Clandestino). E’ capitato anche che mi son trovato in altre situazioni dove, chi componeva, metteva sul piatto tutto quello che aveva realizzato e poi, insieme al suo staff di collaboratori, cominciava a dare forma piu’ compiuta a quello che poi sarebbe diventato il prodotto finale. Con i C.S.I., l’approccio fu totalmente diverso, perche’ in realta’, intanto non eravamo nel classico studio o nella classica sala prove che, mediamente, risultano essere abbastanza asettiche. In piu', sull’onda di cio’ che avevano gia’ realizzato e in quella che era un po’ la loro filosofia di atteggiamento, nella registrazione, il loro modo di approcciare un nuovo disco era quello di scegliere innanzitutto un posto nel quale si trovassero bene (ad eccezione di Giorgio Canali che con la natura, proprio non va d’accordo (sorride)). Per T.R.E., si era deciso di incontrarci, per cominciare a lavorare sul disco, in un posto che e’ vicinissimo al paese dove vive ancora oggi Massimo Zamboni (Carpineti), nell’Appennino Reggiano. Tieni conto che io venivo da una esperienza di Tour dal vivo con loro, quello di Linea Gotica, nella fattispecie, dove non avevo suonato su quel disco in studio. Tempo dopo l'uscita di quel disco, mi chiesero all’epoca di prendere parte alla tournee’. La cosa curiosa di Linea Gotica, come disco, e’ che loro lo avevano immaginato senza un batterista, senza una sezione ritmica (a parte Maroccolo, ovviamente) ma poi il loro produttore decise che un batterista ci poteva stare, all’interno di quel Tour, anche se credo che sia stato piu’ Gianni Maroccolo a spingere sulla decisione di avere un batterista all’interno del Tour. Devo dire che quando mi arrivo’ la proposta di lavorare con loro, nel Tour di Linea Gotica, cio’ avvenne soprattutto grazie al compianto Giovanni Gasparini. Giovanni lo conoscevo da anni ed e’ stato, da sempre, uno stretto collaboratore di Gianni Maroccolo, nonche’ un carissimo amico per me. Per ritornare alla tua domanda originaria, dopo questo antefatto, mi ricordo che quando ci trovammo insieme per cominciare a lavorare su quello che sarebbe poi diventato T.R.E., noi si battezzo’ un posto specifico che fungesse anche da fonte di ispirazione, nella scrittura del disco. Questo posto era un bellissimo agriturismo chiamato “Le Scuderie” ed e’ un posto ottimale per chi ama stare a contatto con una dimensione naturale del mondo. Ci siamo rinchiusi all’interno di questo bellissimo luogo dove notai quasi subito che non c’era un modo di lavorare canonico, nella scrittura dell’album, ma solo delle idee. Per un certo periodo, ci siamo trovati li’ a suonare tutti insieme, in una sorta di grande jam session durata un paio di settimane, dove era gia’ stato allestito tutto per registrare tutto quello che veniva fuori in queste lunghe jam sessions. E’ ovvio che qualcuno, all’interno del gruppo, aveva gia’ qualche idea specifica, qualche spunto o qualche riff di chitarra ma erano sostanzialmente solo degli appunti sonori, abbozzi di brani, come dire, poiche’ brani definitive veri e propri non ce n’erano ancora ma nasceva tutto “in opera”, diciamo. Abbiamo registrato un numero imprecisato di ore di prove, di jams per giorni e giorni. Alla fine di questo periodo di prove suonate, dove non c’era nessun cantato ma solo parti strumentali, interveniva poi Gianni Maroccolo che si portava a casa tutto e cominciava un lavoro di assemblaggio, setacciando tutto cio’ che avevamo registrato e portando a noi quelle parti che riteneva elementi sonori da sviluppare nella ricerca del formato finale di canzone. Quella seconda fase rappresentava gia’ una vera e propria registrazione del disco, sebbene i brani fossero ancora in uno stadio embrionale. Devo dire che, alla fin fine, cio’ che mi ha veramente colpito nel lavoro di registrazione dei C.S.I. e di Tabula Rasa, nello specifico, era quella facilita’, quell’intendimento artistico che si creava tra noi musicisti durante quelle jam interminabili, un qualcosa che ho sempre definito magia pura. T.R.E. e’ stata ed e’ ancora oggi per me, a distanza di 25 anni, una magia indescrivibile dove, aldila’ del viaggio in Mongolia di Giovanni e Massimo, che ha fortemente inciso nella formazione dei meravigliosi testi dei brani di Tabula Rasa, la parte musicale nata in quella maniera cosi’ organica e naturale, e’ un qualcosa che mi ha fortemente colpito e che ricordero’ sempre. 

GM – La prima cosa che mi viene in mente e’ che, prima che si cominciasse a lavorare sul disco, Giovanni Lindo Ferretti venne a casa mia e si parlo’ a lungo di quello che sarebbe dovuto essere il disco seguente a Linea Gotica. Si decise grosso modo di fare un disco meno “pesante”, tra virgolette. In piu’, si parlo’ anche del fatto inerente al viaggio in Mongolia e conseguentemente, dell’idea anche di fare qualcosa di piu’ strutturato, di piu’ indirizzato a una ricerca di musica di radice, visto che c’era la possibilita’ di scoprire quel mondo. Poi, infatti, a Zamboni gli fu dato di tutto, per quel viaggio, da DAT a vari microfoni, cassette per registrar piu’ audio possible e via dicendo. Quando poi Giovanni e Massimo rientrarono dal viaggio, abbiamo utilizzato un po’ di questo materiale, quello di sicuro ma fondamentalmente, poi, e’ venuto fuori il disco piu’ Rock dei C.S.I. A volte, sai, parlare serve a poco ma bisogna piuttosto mettersi in circolo e far si che le cose si manifestino da sole. Il disco, sicuramente, e’ stato ispirato, a livello di liriche e soprattutto da parte di Giovanni, nella dimensione vissuta li’ in Mongolia, quindi c’e’ sicuramente una presenza della sua esperienza li’, che si e’ trasformata in testi ma diciamo che musicalmente, Tabula Rasa e’ il disco piu’ rockettaro e anche piu’ etnico dei C.S.I.

 

BR – Una volta terminata la registrazione del disco, assemblarne la scaletta e’ stata impresa facile oppure avete dovuto discuterne all’interno del Gruppo?

GM – Se non ricordo male, la scaletta ha seguito unicamente un percorso cronologico, nel senso che I brani sono stati inseriti nel disco cronologicamente, mano mano che si registrava ogni singolo pezzo. Anche da quel punto di vista, e’ stato un processo naturale, non c’e’ stato bisogno piu’ di creare un Concept, perche’, piu’ o meno, per un buon 60-70 percento, se non di piu’, la scaletta rappresnta proprio l’ordine cronologico con cui son venute fuori le canzoni, come ti dicevo prima. Come nel caso anche di T.R.E., all’inizio di ogni disco dei C.S.I. e un po’ come era successo prima di cominciare a lavorare sul disco precedente, Linea Gotica, gia’ da qualche giorno prima di cominciare a registrare a Carpineti, Giovanni ci aveva letto un po’ di pagine e racconti che aveva scritto a proposito della esperienza in Mongolia ma anche su altri contenuti che voleva inserire all’interno di T.R.E. e che, in qualche modo, voleva che fossero fonti d’ispirazione per la musica del disco. Personalmente, credo che Tabula Rasa sia stato il disco piu’ Rock del Consorzio, anche perche’ una volta che entri dentro alla dimensione lirica, alle parole e il significato che dai a queste parole, devi poi trovare cio che e’ necessario musicalmente per tradurlo nel tappeto sonoro piu’ consono a queste liriche. Se pensi ad un brano come Unita’ Di Produzione, non la potevi sonorizzare musicalmente con un qualcosa di stampo etnico, dove c’erano atmosfere particolari; li’ bisognava essere pesantissimi, come un carro armato Rock e quindi la canzone e’ nata in quel modo, sulla base delle parole di Giovanni che arrivavano e che necessitavano di quel tipo di musica e di atmosfere.

 

BR – Forma E Sostanza era senza dubbio il singolone che ha spianato la strada a T.R.E. per raggiungere la vetta piu’ alta delle classifiche di vendite in Italia ma in realta’, ci sono delle perle forse un po’ meno note al grande pubblico e all’interno del disco, come Vicini, per esempio, un brano di matrice quasi Trip-Hop, che poi sfocia, nella seconda parte del brano, in una grande apertura Rock di notevolissima intensita’. Desideravamo chiedervi se Vicini era un brano nato intenzionalmente in questa maniera, nella sua genesi oppure il cambio di direzione musicale che si verifica nel brano e’ il frutto di una estemporaneita’ emozionale scaturita in studio in sede di registrazione?

GM – Tabula Rasa Elettrificata, anche se qualcuno puo’ dissentire,  sembra come un disco quasi Pop, per certi aspetti, perche’, come costruzione formale, siamo molto piu’ vicini alla forma Canzone, non estremamente dilatata, abbastanza dentro tempi che non vanno mai oltre i 4-5 minuti medi di durata, salvo rare eccezioni, con delle strofe, delle introduzioni, dei ritornelli.. Il grande sforzo e’ stato quello di riuscire a suonare, musicalmente in maniera “pesante” ma con leggerezza, in qualche modo. All’interno di Vicini, questo concetto e’ stato applicato ulteriormente, sempre mantenendo pero’, all’interno non solo di Vicini ma anche in altri brani all’interno del disco, la voglia di creare quel tessuto sonoro adatto a tradurre in musica le parole di Giovanni nella maniera migliore possible, in maniera un po’ “mantrica”, diciamo, associando emozionalmente la musica alle parole in un processo di assorbimento involontario, un po’ come accadde in uno dei miei brani preferiti di sempre con il gruppo, (anche se all’epoca era chiamato ancora CCCP) chiamato Depressione Caspica, un brano che rimane sospeso, non cambia mai, corre liscia come l’olio dall’inizio alla fine, ha due piccoli stop ma fondamentalmente, o ti inchioda, o ti rompe le palle dopo 20 secondi (sorride). Questo tipo di processo creativo di stampo mantrico e’ diventato nel tempo, molto prima di Tabula Rasa, un processo naturale per noi, dove alla voce e alle parole, aggiungi il tappeto musicale che scaturisce empaticamente senza aver bisogno di aggiungere una nota in piu’ o avere una dinamica o un’apertura in piu’. Laddove invece, secondo noi o secondo me, che seguivo la produzione, in determinati passaggi di testo o di parole, si necessitava un po’ piu’ di violenza sonora o una grande botta di dinamica o una apertura piu’ fragorosa che fosse, li’ non abbiamo avuto mezze misure. Dove invece non era necessario, dove quasi bastava solo la voce di Giovanni, li’ si e’ cercato di tenere tutto abbastanza fermo, anche se non lo e’, in realta’. Anche se Tabula Rasa e’ ritenuto il disco piu’ facile da realizzare per i C.S.I., comunque sia, dopo vari ascolti, ti regala notevoli sorpresine che magari, a un primo ascolto, potevano esserti sfuggite, cosa che vale non solo per brani come Vicini ma anche per altri pezzi, come ad esempio Bolormaa, che e’ una altra canzone stupenda di quel disco. 

 

BR – A proposito di Bolormaa, ricordo che nel libro foto-autobiografico di Gianni Maroccolo, Massimo Zamboni defini' quel brano come un “qualcuno che vedi salire, fino a piegare, ad accavallarsi, crollare decisa per poi crescere lungo I tuoi nervi e accassarsi decisa nella memoria”. Credete che la definizione che Massimo fornii di Bolormaa riassuma anche, per certi versi, il contesto e la dinamica di Tabula Rasa nella sua interezza come disco?

GM – Beh, quello che ha detto Massimo a proposito di Bolormaa, vale per tutto il disco, fondamentalmente. Pero’ e’ una cosa che abbiamo scoperto vivendola, insomma, non e’ che ci siamo messi li’, decidendo a priori che il disco avrebbe dovuto avere questa caratteristica, anche perche’ poi, in fondo, il disco ha anche due piccoli elementi che sembrano apparentemente dissacratori, che non c’entrano quasi niente con il disco, come M’Importa ‘Na Sega e Matrilineare, che invece sono piu’ punkettoni. Ricordo che quando siamo arrivati a quelle due canzoni, avevamo il cuore completamente nel disco, quindi ci siamo un po’ “smollati”, come si dice.

 

BR – Gigi, all’interno di Tabula Rasa Elettrificata, la band ti ha lasciato carta bianca completa, per quanto concerne far esplodere la tua creativita’ artistica o hai avuto un po’ di problematiche nel capire cosa la band ti chiedesse, dal punto di vista ritmico, per ogni brano di T.R.E.? Tra l’altro, ricordo che, durante le sedute di registrazione, non hai mai usato il raid (piattone della batteria) dietro richiesta di Massimo Zamboni.

GCC – Guarda, Massimo odia i piatti della batteria in generale, figuriamoci il raid! (sorride) La cosa straordinaria, per questo disco, e’ che quando si parla di carta bianca, per questo disco ma in genere all’approccio che I C.S.I. hanno nella scrittura (e non e’ un modo di dire), tu ti potevi permettere di sperimentare, di proporre, non c’era nessuno che ti imponeva di attenerti a cose specifiche. Poi, ovvio, che in mezzo al lavoro che c’era, magari con Gianni, soprattutto, per far girare meglio la ritmica (perche’ e’ indubbio che la sezione ritmica funziona se basso e batteria stanno andando nella stessa direzione), ci si confrontava e si perfezionavano dei dettagli. Dico sempre che puo’ sembrare una bestemmia ma secondo me, i C.S.I. erano un gruppo di Progressive Rock senza saperlo, nel senso che il Progressive Rock, per definizione, e’ un vero e proprio esempio di crossover stilistico, dove tu puoi mettere nel suo interno tutti gli ingredienti e tutti, anche se diversi tra di loro, trovano la loro giusta collocazione. Ovvio che bisogna essere sufficientemente intelligenti per capire al momento giusto quello che serve, al suo interno e quello che e’ inutile. Per esempio, nella classica costruzione di una canzone normale, dopo un paio di minuti circa, deve arrivare il ritornello perche’ altrimenti, non si accetta nella musica una cosa che non venga fatta cosi. I C.S.I. potevano partire con uno strumentale e avere una strofa o un altro sviluppo sonoro d’altro tipo e il ritornello poteva arrivare dopo tipo 3 minuti, per dire, cosa che era gia’ inconcepibile in quegli anni, figurati nei tempi che stiam vivendo. Pero’ potevi permetterti di fare una cosa del genere se in passato, magari, tu avessi gia’ fatto dei dischi simili di stampo Progressive o altri generi musicali che hanno degli schemi piu’ liberi. Questo di cui ti ho parlato ha rappresentato per me un aspetto notevole, perche’ tu avevi una totale liberta’ propositiva e nessun paletto, nel senso che non dovevi per forza stare dentro uno steccato sonoro specifico. Per me, i C.S.I. sono stati una occasione per liberare tutto quello che c’era nel mio bagaglio di musicista senza avere dei canoni prestabiliti, cosa che il Rock, tante volte, ti impone di contenere. Una cosa che ho messo a frutto, e non e’ che non la conoscessi, nel modo piu’ pratico e in un progetto che, in quegli anni, non lo prevedeva cosi’ tanto, e’ stato il lavoro sulle dinamiche, per esempio. A questa cosa teneva moltissimo Gianni Maroccolo. Lui mi diceva “Dobbiamo lavorare tutti quanti come se fossimo una orchestra”, quindi con momenti quando c’e’ il Pieno, altri in cui c’e’ il Forte ma ci sono anche i momenti in cui c’e’ il Pianissimo, il che implica far respirare i brani completamente. Devo dire che questo e’ stato fondamentale sul risultato che abbiamo ottenuto, non solo ritmicamente, all’interno di T.R.E. Cosa che non avviene piu’, al giorno d’oggi; se tu prendi un brano, all'interno della musica che gira oggigiorno e lo vai ad analizzare dal punto di vista delle frequenze, vedrai solo un unico striscione piatto che non mostra dinamica alcuna. Tabula Rasa era ed e’ uno di quei rari dischi che tiene conto di questo aspetto che conferma, ancora una volta, la liberta’ totale di scrittura e di approccio dei C.S.I., una band che era quanto di piu’ diverso potesse esistere l’uno dall’altro. I membri del gruppo erano proprio persone artisticamente ed umanamente diversissime tra di loro ma che insieme riuscivano a creare qualche cosa di unico. Un’altra cosa anomala, in mezzo a tutte le bellissime anomalie e scoperte piacevolissime che son successe quando abbiamo registrato il disco, fu che, come sai, quando fai musica e c’e’ un cantante (e che cantante), uno si aspetta che esso collabori o partecipi in qualche modo alla stesura delle melodie e del cantato. Questo con Giovanni Lindo Ferretti, non e’ avvenuto mai. In tutto il lavoro musicale di cui ti ho parlato prima, Giovanni, non c’era mai. Giovanni arrivava, a un certo punto della giornata, ascoltava e poi andava via di nuovo. Nel frattempo, lui occupava il resto della sua giornata a scrivere i testi, tant’e’ che mi ricordo che quando concludemmo questa prima parte di registrazione del disco a tutti gli effetti, dove c’erano tutte le basi ma non c’era una singola linea di cantato, mi chiedevo “Ma adesso cosa succedera’?”, perche’ per me, questo processo era una cosa davvero atipica. Una sera che Giovanni arrivo’ (lui arrivava in genere nel tardo pomeriggio), mi ricordo che si ceno’ tutti insieme, come sempre facevamo, ci si parlava, ci si confrontava e Giovanni, ovviamente, ascoltava tutto cio’ che avevamo fatto in studio. Una volta che ascolto’ le basi strumentali del disco, dove non c’era ovviamente ancora una nota di cantato, arrivo’ con un quadernetto e disse “Qui ci sono i testi del disco”. Io mi dicevo tra me e me, “Vabbe’, come fara’ a funzionare, sta cosa? Come fara’ Giovanni ad incastrare tutte queste cose?” Ed e’ li’ che scatto’ una seconda fase di lavoro, fatta da lui solo e da Ginevra, che e’ stata importantissima in questo senso, dove entrambi si chiusero in una stanza e lavorarono sulla costruzione delle melodie (e in questo senso, Ginevra e’ stata davvero bravissima e fondamentale, insieme a Giovanni), utilizzando ovviamente i brani e i testi di Giovanni. Questa cosa, magicamente, funziono’. Quando entrambi poi cominciarono a registrare le voci e a montarle sui brani, il disco poi divento’ quel capolavoro che conosciamo. Una cosa che tengo a dire, anche, e’ che umanamente, io mi son trovato sempre molto ma molto bene con tutti i componenti dei C.S.I. Per me sono stati, i miei anni passati con loro, anni importantissimi, quei sei anni che ho vissuto con loro. Gia’ dalla tournee di Linea Gotica, cosa che col senno di poi puo’ suonare curioso dirlo ma ti assicuro che prima ancora che mi arrivasse la proposta da Giovanni Gasparini di suonare con loro, parlando con colleghi di lavoro, tutte le volte che mi continuavano a chiedere “Ma qual’e’ il progetto di lavoro che ti piace di piu’ in questo momento?” io fornivo sempre la stessa risposta, il Consorzio Suonatori Indipendenti. Essere stato artifice di quel risultato insieme agli altri, di quel famoso disco d’oro che raggiunse Tabula Rasa Elettrificata o il primo posto assoluto nelle classifiche di vendita italiane, beh, sono soddisfazioni che non avevo mai raggiunto prima d’allora, nemmeno con Ligabue. A dire il vero, il disco d’oro e anche di platino lo avevo gia’ raggiunto con Ligabue ma mai il primo posto nelle classifiche musicali. Immagina te, i C.S.I., con un progetto assolutamente innovativo ed alternativo, per dirlo in maniera semplice, arrivare primi nelle classifiche nazionali! Che poi venne fuori quella famosa fiaba, come la chiamo io, assurda, quella leggenda metropolitana nella quale, a sentire alcuni, si era verificato un errore di catalogo e al primo posto avrebbe dovuto esserci Elton John al posto nostro… un campionario di fregnacce incredibili, perche’ il primo posto in classifica, era davvero il nostro! I segnali che il disco potesse essere un disco di grande impatto a molti livelli erano arrivati molto velocemente e devo dire che una persona che ha un grande merito, rispetto al fatto di averci aperto un po’ uno spiraglio, una porta, al grandissimo pubblico, e’ stato Lorenzo Cherubini (Jovanotti). Lorenzo, che era nella nostra stessa casa discografica, era un grande fan dei C.S.I. e aveva avuto modo di ascoltare in anteprima il nostro disco prima che uscisse. Lui impazzi’ letteralmente per il nostro disco, quando lo ascolto’, al punto tale che ci chiese di aprire alcune date del suo Tour prima che T.R.E. uscisse. Cosa piu’ unica che rara, al mondo d’oggi, suonare dei nuovi brani prima che un disco venisse ufficialmente pubblicato, un qualcosa che magari si sarebbe fatto solo negli anni ’70, un po’ come i Pink Floyd fecero con Dark Side Of The Moon, quando portarono in Tour il disco un anno prima della sua pubblicazione ufficiale. Noi poi andammo a suonare in alcune date del Tour di Lorenzo, in alcuni stadi e con un pubblico lontano dal nostro anni luce, per sensibilita’. La reazione del pubblico fu davvero incredibile, davanti a quei brani, Lorenzo fu, tra l’altro, molto carino a presentarci prima che noi iniziassimo il nostro set e gia’ da allora, avemmo la percezione che qualcosa di importante stava succedendo.  

 

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                                              Il Consorzio nel 1997 - Photo courtesy by Gianni Maroccolo's archive

 

BR – Il nostro sito desiderava anche chiedervi una cosa, al riguardo del brano conclusive di Tabula Rasa Elettrificata, che e’ M’Importa ‘Na Sega, il cui titolo crediamo sia stato ispirato a Giovanni Lindo Ferretti da qualcuno che lo aveva scritto su un muro della stazione ferroviaria di Firenze. Nella parte conclusiva del brano, sembra scatenarsi un delirio sonico da parte dell’intera band, un qualcosa che ci chiedevamo se fosse nato cosi’ per gioco, nella lavorazione del brano o per intenzione?

GM – Sai, per me l’unicita’ che ha sempre caratterizzato il suono dei C.S.I. era quello che dice tra l’altro anche Francesco Magnelli, e cioe’ che rarissimamente c’e’ stao bisogno di qualcuno, all’interno del gruppo, che dicesse a qualcun’altro “Prova a far questo, prova a far quello..”. Le cose avvenivano naturalmente e forse ci siamo anche trovati a una bella eta’ della vita, un po’ tanti di noi, visto che avevamo una quarantina d’anni, quando abbiam fatto T.R.E. Anche se, bisogna dire, non credo che l’eta’ sia stata poi un fattore determinante, anche perche’ credo che quella attitudine musicale noi ce la si avesse anche quando abbiam fatto Ko De Mondo, per dirti. Pur essendo tutti noi personalita’ molto forti, in tutti I sensi e per certi aspetti anche molto sgradevoli in certi momenti, il nostro e’ sempre stato un gruppo dove le cose accadevano naturalmente ed ognuno ricopriva il proprio ruolo senza volersi imporre agli altri. Quella naturalita’ che poi puoi avvertire anche nella bolgia sonora con la quale M’Importa ‘Na Sega finisce (sorride). All’epoca, avendo costantemente il registratore acceso, quando lavoravamo, credo che noi si abbia registrato almeno 4 finali diversi di M’Importa Na’ Sega, tutti fragorosi musicalmente ma diversi l’un dall’altro. La scelta di aggiungere quello che poi e’ finita sul disco e’ stata una decisione comune, quindi la naturalita’ del gruppo si e’ espressa anche li’, anche se concludere il brano in quella maniera scoppiettante, era un qualcosa che avevamo pensato comunque di fare in prima istanza. Una delle cose piu’ belle del Consorzio, e’ che non ha mai avuto un leader. Certo, quando si suonava dal vivo, Giovanni era la Parola e quella catarsi che avveniva con il pubblico, avveniva grazie a lui ma Giovanni, come nessun altro all’interno dei C.S.I., ha fatto da leader al nostro interno in nessuna sezione o aspetto, dove normalmente nei gruppi c’e’ qualcuno che fa questo, c’e’ qualcuno che dice all’altro cosa fare, c’e’ chi porta I pezzi, c’e’ chi firma la musica.. No, noi abbiamo sempre lavorato in maniera abbastanza naturale, come se sapessimo, in fondo, quale era il nostro ruolo all’interno della storia. Io non e’ che sono andato li’ a imporre e dire “Mi occupo della produzione” oppure “Trovatevi un altro bassista”. Alla fine, ero piu’ portato per far quelle cose probabilmente degli altri o gli altri non avevano voglia di farlo, perche’ Giorgio Canali e’ un produttore anche lui, non saprei dirtelo. Probabilmente io ero piu’ indirizzato a queste cose, mentre Giovanni scriveva I testi, la parte “intellettuale” era in qualche modo, comunque coordinata e condivisa tra Giovanni e Massimo, Francesco era uno che seguiva piu’ le vocalita’, le melodie delle voci, si concentrava magari un poco di piu’ nella composizione in confronto ad altri, Giorgio era fondamentalmente dedicato al ruolo di chitarrista di quelli fragorosi... anche negli arrangiamenti, sai, non era che uno arrivava un giorno con gli arrangiamenti gia’ composti e distribuiva ciascuna parte agli altri da eseguire. La naturalita’, la nostra maniera diretta di lavorare, era ottima e quello puoi sentirlo, tra tantissimi momenti della nostra storia musicale, anche sul finale di M’Importa ‘Na Sega, come ti dicevo prima.

 

BR – All’interno di Tabula Rasa, la presenza piu’ frequente alla voce di Ginevra Di Marco ha arricchito ancor di piu’ vocalmente, secondo noi, la struttura vocale dell’intero disco. Sei dello stesso parere, Gianni?

GM – Beh, anche quella e’ stata una delle tante esperienze di vita che abbiamo condiviso, in gran parte, musicalmente, pero’, fondamentalmente, crescendo anche come persone, come esperienze e comprendendo sempre di piu’ cosa ci si aspetta, dalla musica  cosa si vorrebbe o non si vorrebbe da essa. Sin dal primo disco del Consorzio, Ko De Mondo, dove Ginevra venne a trovarci e poi capito’ che canto’ La Lune Du Prajou, un pezzo strumentale solo vocalizzato da Ginevra senza testo, da li’, piano piano, in maniera abbastanza naturale, e’ cresciuta lei, siam cresciuti noi e abbiamo forse piu’ delineato anche, senza parlare, senza discuter tanto, dove si stava andando come gruppo. Come ti dicevo, tutto cio’ e’ stato un processo naturale, senza forzature, di crescita comune e di assembramento artistico ed umano. Da li’, per certi aspetti, anche in quella che e’ stata poi la coda di tutta la nostra esperienza vissuta insieme, che parte da Epica, Etica, Etnica e Pathos dei CCCP e finisce con l’ultimo disco dei PGR (Per Grazia Ricevuta, progetto postumo ai C.S.I.), anche se qualcuno e’ andato, qualcuno e’ rimasto e via dicendo,  il progetto PGR che ne e’ venuto dopo nasceva in qualche modo proprio dopo Tabula Rasa, come una sorta di gruppo che, piano piano, avrebbe dovuto esprimersi attraverso due vocalita’ distinte e quindi, alcune cose sarebbero state scritte da Ferretti espressamente solo per la voce di Ginevra, altre cose le avrebbe cantate invece Giovanni. Su Tabula Rasa, invece, c’e’ stata questa scelta di cantarne parecchie, di canzoni, con due vocalita’ ma soprattutto, c’e’ stata una collaborazione creativa, a livello di melodie e delle scritture di melodie vocali da parte di Ginevra con Giovanni. Noi, quando iniziavamo a determinare una atmosfera, a lavorare su un’atmosfera, ovviamente non la portavamo mai fino in fondo, perche’ giocavamo un po’ come a ping pong, per certi versi. Per cui, dall’ispirazione di un racconto o di un pezzettino di testo di Giovanni, nasceva una ispirazione musicale. Una volta nata l’ispirazione, la si teneva in bilico e si passava poi questa metaforica pallina da ping pong a Giovanni per capire che tipo’ di vocalita’ e che tipo di melodia utilizzare, come strutturare il testo eccetera. Quando succedeva che noi arrivavamo a quello che potremmo definire uno spunto musicale concreto, sebbene non definito del tutto, Ginevra e Giovanni si ritiravano in altre stanze e iniziavano a lavorarci insieme. Diciamo che tra Linea Gotica e Tabula Rasa Elettrificata, e’ successo questo, che tutto il disco e’ stato lavorato a livello creativo, per cio’ che riguarda le melodie e dei cantati, direttamente da Giovanni e da Ginevra.

 

BR – Gigi, ci sei rimasto un po’ male sul fatto di non essere stato coinvolto sul documentario prodotto da Sky Italia, per lo speciale che i C.S.I. registrarono con l’emittente televisiva in onore di Tabula Rasa Elettrificata?

GCC – Beh, si, ci son rimasto male piu’ che altro perche’ ritengo di avere ricoperto un ruolo importante, nella costruzione di quel disco ma anche di quella storia. Al riguardo, ricordo che mi confrontai con Massimo Zamboni e anche lui ci rimase molto male sul fatto che nessuno di loro avesse pensato di includermi o coinvolgermi in qualche modo, nel documentario, quando ne han parlato con l’emittente televisiva. Comunque, dai cose cosi’ accadono, non puoi fare altro che subirle, in quel caso ma mi e’ sicuramente dispiaciuto davvero tanto di non esser stato coinvolto in quella situazione.